Sono 10 parole che suonano molto bene, ma che significano molto poco. Generiche, vaghe, spesso addirittura scontate. Eppure sono le parole che i 332 milioni di utenti LinkedIn nel mondo utilizzano più spesso per descrivere le proprie competenze professionali ai potenziali datori di lavoro.
Anche quest’anno il social network professionale ha monitorato i termini più ricorrenti nei profili dei propri iscritti di 21 paesi con l’obiettivo di guidare gli utenti a un personal branding più efficace: descriversi con parole super inflazionate produce infatti l’effetto di banalizzare il proprio profilo, rendendolo simile a quello di milioni di altre persone, e vanifica l'obiettivo del personal branding, che è invece quello di promuovere le peculiarità individuali per costruire una reputazione e un profilo appetibili sul mercato.
La parola che lo scorso anno è stata più utilizzata in assoluto su LinkedIn, tanto da divenire quasi un cliché, è “motivato”, seguita da “appassionato” (del proprio lavoro), “creativo”, “stimolato” (a fare qualcosa), “vasta esperienza”, “responsabile”, “strategico”, “risultati professionali” “organizzativo” ed “esperto”.
Rispetto alla lista dello scorso anno alcune parole sono cambiate: secondo LinkedIn la scelta degli aggettivi con cui qualificare le proprie competenze cambia sia in base alle mode del momento sia al valore che si attribuisce a certe qualità in rapporto alla situazione di mercato percepita: per esempio, sono uscite dalla classifica parole come “efficace”, “paziente”, “intraprendente”, “innovativo” e “analitico” per lasciare il posto a “vasta esperienza”, “risultati professionali”, “esperto”, “appassionato”, quasi a dire che ciò che gli utenti pensano serva oggi alle aziende per rendere più solide le loro attività sono know how, esperienza e dedizione al lavoro.
Di fatto però, a qualunque datore di lavoro queste caratteristiche possono apparire quasi scontate. Chi prenderebbe infatti in considerazione l’idea di assumere qualcuno che non è motivato? Nell’indicare le parole più inflazionate, LinkedIn suggerisce di valutare gli aggettivi in base al loro contrario: se non ci si descriverebbe come persone senza stimoli, irresponsabili o disorganizzate è bene lasciare perdere anche la forma positiva di quegli aggettivi, perché non porta nessun valore aggiunto e indica semplicemente lo standard minimo che ci si aspetta da qualunque dipendente.
La vera operazione di personal branding, suggerisce LinkedIn, non è comunque quella di trovare aggettivi, pure un po’ più originali, con cui raccontarsi, bensì quella di portare esempi concreti di come questi aggettivi si sono tradotti in risultati: in cosa ci si è dimostrati responsabili, che cosa si è ottenuto grazie alla propria capacità organizzativa, quale input positivo si è dato all’azienda grazie al proprio know how? Dichiarare di avere ottenuto ottimi risultati professionali non significa niente. Meglio specificarli, quei risultati, e lasciare a chi legge il profilo la facoltà di decidere quali aggettivi attribuirvi.
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