martedì 17 febbraio 2015

Le 10 parole da non inserire nel proprio profilo LinkedIn

Sono 10 parole che suonano molto bene, ma che significano molto poco. Generiche, vaghe, spesso addirittura scontate. Eppure sono le parole che i 332 milioni di utenti LinkedIn nel mondo utilizzano più spesso per descrivere le proprie competenze professionali ai potenziali datori di lavoro. 



Anche quest’anno il social network professionale ha monitorato i termini più ricorrenti nei profili dei propri iscritti di 21 paesi con l’obiettivo di guidare gli utenti a un personal branding più efficace: descriversi con parole super inflazionate produce infatti l’effetto di banalizzare il proprio profilo, rendendolo simile a quello di milioni di altre persone, e vanifica l'obiettivo del personal branding, che è invece quello di promuovere le peculiarità individuali per costruire una reputazione e un profilo appetibili sul mercato.

La parola che lo scorso anno è stata più utilizzata in assoluto su LinkedIn, tanto da divenire quasi un cliché, è “motivato”, seguita da “appassionato” (del proprio lavoro), “creativo”, “stimolato” (a fare qualcosa), “vasta esperienza”, “responsabile”, “strategico”, “risultati professionali” “organizzativo” ed “esperto”.

Rispetto alla lista dello scorso anno alcune parole sono cambiate: secondo LinkedIn la scelta degli aggettivi con cui qualificare le proprie competenze cambia sia in base alle mode del momento sia al valore che si attribuisce a certe qualità in rapporto alla situazione di mercato percepita: per esempio, sono uscite dalla classifica parole come “efficace”, “paziente”, “intraprendente”, “innovativo” e “analitico” per lasciare il posto a “vasta esperienza”, “risultati professionali”, “esperto”, “appassionato”, quasi a dire che ciò che gli utenti pensano serva oggi alle aziende per rendere più solide le loro attività sono know how, esperienza e dedizione al lavoro.

Di fatto però, a qualunque datore di lavoro queste caratteristiche possono apparire quasi scontate. Chi prenderebbe infatti in considerazione l’idea di assumere qualcuno che non è motivato? Nell’indicare le parole più inflazionate, LinkedIn suggerisce di valutare gli aggettivi in base al loro contrario: se non ci si descriverebbe come persone senza stimoli, irresponsabili o disorganizzate è bene lasciare perdere anche la forma positiva di quegli aggettivi, perché non porta nessun valore aggiunto e indica semplicemente lo standard minimo che ci si aspetta da qualunque dipendente.

La vera operazione di personal branding, suggerisce LinkedIn, non è comunque quella di trovare aggettivi, pure un po’ più originali, con cui raccontarsi, bensì quella di portare esempi concreti di come questi aggettivi si sono tradotti in risultati: in cosa ci si è dimostrati responsabili, che cosa si è ottenuto grazie alla propria capacità organizzativa, quale input positivo si è dato all’azienda grazie al proprio know how? Dichiarare di avere ottenuto ottimi risultati professionali non significa niente. Meglio specificarli, quei risultati, e lasciare a chi legge il profilo la facoltà di decidere quali aggettivi attribuirvi.

Nessun commento:

Posta un commento