giovedì 26 gennaio 2012

Italia penultima nella redistribuzione delle opportunità: il figlio dell'operaio fa sempre l'operaio

L'economista Fabio Pammolli, direttore dell'Alta Scuola IMT di Lucca, ci spiega cosa ci sia davvero in gioco quando si parla di concorrenza in Italia. Lo fa, non a caso, alla vigilia del passaggio parlamentare del dl liberalizzazioni e nel pieno di un dibattito imbrigliato tra i commenti tecnici al provvedimento e le proteste, più o meno scomposte, delle tante corporazioni ostili all'apertura del mercato voluta da Monti. Occorre – dice – sbloccare con una terapia d'urto un Paese immobile e una classe dirigente chiusa e autoreferenziale.


Che una riforma del genere potesse promuoverla oggi solo un governo di tecnici – in quanto tale svincolato dall'ossessione del consenso – lo ripetono da tempo molti commentatori.
Qualche mese fa il think tank The Conference Board of Canada ha pubblicato uno studio sulla mobilità intergenerazionale del reddito che colloca l'Italia al 9° posto su 10 Paesi per capacità di redistribuzione delle opportunità tra una generazione e l'altra. In testa la Danimarca. Giù, sorprendentemente, Usa e Regno Unito, pure considerati nella vulgata comune la mecca della meritocrazia.





Più complesso è lo studio dell'OCSE dal titolo Divided We Stand: Why Inequality Keeps Rising, presentato in questi giorni in Italia. La ricerca misura l'andamento delle disuguaglianze di reddito nell'ultimo quarto di secolo, indicando quanto globalizzazione, rivoluzione tecnologica e crisi abbiano inciso sugli squilibri tra la fascia più ricca e quella più povera della popolazione. Anche in questo caso in Italia i divari, anziché ridursi, crescono .
Aspettative frustrate da decenni di promesse mancate aumentano – secondo sociologi e neuropsichiatri – il tasso di vulnerabilità complessivo della società italiana. I nuovi vulnerabili, certo, sono i tanti esposti alle straordinarie accelerazioni dei cambiamenti in corso che stanno letteralmente rivoluzionando i connotati del mondo del lavoro. Ma sono, allo stesso modo, anche quanti – esclusi da ogni forma di tutela e privati di una sola chance di realizzazione, pur avendo competenza, titoli e disponibilità alla fatica – scontano gli effetti di un cambiamento che, invece, sembra non arrivare mai. Due forme di vulnerabilità diverse ma complementari che si potranno risolvere solo quando nel dibattito pubblico la redistribuzione delle risorse e la meritocrazia verranno intese non come obiettivi alternativi e a sé stanti, magari secondo consunti schemi concettuali destra/sinistra, ma come le due facce di una stessa medaglia: quella della giustizia sociale e dell'eguaglianza delle opportunità, capisaldi del pensiero liberale e democratico su cui, fino a prova contraria, si fonda l'essenza della nostra "difficile democrazia".





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