giovedì 12 gennaio 2012

Teorie Manageriali - Manager thinker

Più che agire la classe manageriale tende a reagire. Serve una visione d’insieme che tenga conto del passato e guardi al futuro



I guru del management stanno esaurendo le loro idee? L’impressione che vi siano meno nuove buzzword manageriali, meno slogan e ricette universali a ogni problema non è forse corretta? La cruda realtà dei fatti ha frenato i saggi delle teorie manageriali?

Forse perché le loro ricette magiche funzionavano solo nelle fasi di crescita e boom dei due ultimi decenni, prima che si manifestasse la recente crisi. Di fatto negli ultimi trent’anni c’è stata una proliferazione inarrestabile della letteratura manageriale. Dal punto di vista odierno il libro In Search of Excellence, pubblicato nel 1982, può essere considerato il precursore dell’ondata che seguì. Un denominatore comune di quello che venne proposto era il fatto che i rispettivi autori e guru lanciarono sempre nuove mode, slogan o soluzioni definite come “la” unica e onnicomprensiva ricetta per risolvere tutti i problemi.
Reengineering, total quality management, outsourcing, benchmarking, competenze core, balanced scorecard, customer relationship management o simili concetti venivano regolarmente presentati con forti eco e come traguardi finali della scienza manageriale, supportati da esempi di applicazioni di successo, per dimostrarne la validità empirica. La velocità con la quale si sono susseguite le mode manageriali oggi è calata notevolmente. La quantità di bestseller a tal proposito è significativamente diminuita, le tirature si sono ridotte e anche il numero di riviste manageriali, diffusesi come funghi in quegli anni, è molto più circoscritto.
Sono state solo acrobazie verbali o le metodologie manageriali del passato hanno avuto conseguenze a livello pratico? Questa è la domanda di maggior rilievo: in numerose aziende americane le indicazioni derivanti dalle nuove teorie manageriali vennero seguite alla lettera. Il processo di adeguamento alle ultime teorie iniziava tipicamente tra i tre e i sei mesi dopo la loro pubblicazione sulle riviste di riferimento. Anche aziende italiane seguivano le diverse mode che si sono susseguite.
I manager italiani hanno tuttavia adottato maggiore sobrietà nel seguire queste mode, dimostrando maggiore resistenza rispetto agli americani. Per molti questo comportamento esprimeva nelle fasi del boom l’arretratezza dei manager italiani. In realtà si trattava di buon senso, che tuttavia secondo Oscar Wilde non è troppo diffuso.
Peter Drucker era convinto che la maggior parte delle nuove teorie manageriali fosse inutile e fuorviante, soprattutto per la loro tipica applicazione esagerata e unilaterale. Fu pertanto inevitabile che i successi nella loro applicazione sbiadissero già dopo pochi anni. Il buon management non ha nulla a che spartire con questi fenomeni di breve durata che altro non sono che mode passeggere.
Una tale banale conclusione può essere solo tratta, se si adotta una prospettiva storica di lungo periodo, abbandonando come metro di giudizio i risultati quadrimestrali. Solo un’approfondita comprensione mette al riparo da spettacolari abbagli di successi generati nel breve periodo. Ciò che conta non è il momentaneo Come, ma il Perché di lungo periodo.
Peter Drucker ha sostenuto questa conclusione come nessun altro. Lui interpreta la gestione dell’azienda alla luce della storia, che si deve conoscere a tal fine in maniera molto dettagliata, presupposto che la maggior parte degli autori manageriali nega completamente. Solo chi comprende il passato e interpreta in maniera corretta il presente ne evince una migliore comprensione del futuro. Søren Kierkegaard, filosofo danese, ha riassunto come segue questo pensiero: «La vita può essere compresa solo con lo sguardo indietro, ma può essere vissuta solo con lo sguardo in avanti».

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