venerdì 4 ottobre 2013

3 MILIONI DI PERSONE BLOCCATE IN UN ASCENSORE....

Non lavorano e non studiano. Sono i Neet, "Not in Education or in Employment Training". Nel nostro Paese sono due milioni, un ragazzo su quattro se si considera la fascia d'età tra i 15 e i 29 anni. Diventano uno su tre se si arriva fino ai 34. Soprattutto donne del Mezzogiorno con un basso livello di istruzione, ma anche diplomati e laureati. Tutti "condannati a consumare senza il diritto di produrre" 


Immaginiamo per un istante l'Italia come un condominio, un palazzo di cinque piani. Al secondo piano c'è un ascensore, bloccato. Dentro, più di due milioni di giovani tra i 15 ed i 29 anni che non lavorano e non studiano, e se allarghiamo la fascia di età fino a 34, se ne contano tre milioni e duecentomila. 

Nel nostro Paese rappresentano un giovane su quattro nel primo caso e addirittura uno su tre se ci riferiamo al secondo. Stiamo parlando dell'11% della forza lavoro totale.


Da un punto di vista relazionale sono attivi, si relazionano con altri magari come loro, ma produttivamente parlando sono fermi, inamovibili. Trascorrono il tempo facendo passare le giornate una dopo l'altra, come parte passiva di un sistema che li esclude.



Viene definita come la "generazione senza", indicata dalla Commissione Europea come uno dei principali focolai di disagio ed esclusione sociale, messa sotto i riflettori dall'Istat, dal Censis, da Italia Lavoro, tanto per citare alcuni enti che si sono occupati di censirla, di fotografarla, sempre raccontandola per quello che non fa. In maggioranza sono donne, circa il 58% del totale, vivono al Sud (nel Meridione la percentuale tocca il 32% ) con un livello di istruzione basso e alti tassi di abbandono scolastico. Ma non solo. Ci sono anche laureati, diplomati, disoccupati, e l'ultimo trend secondo i dati statistici li vede in aumento significativo anche al Centro e al Nord dove però si attestano su una media del 16%, quindi con un netto divario territoriale. 

Generalmente, i Neet, vivono all'ombra delle famiglie di origine  e "campano" di lavoretti episodici, scivolando giorno dopo giorno nell'autoesclusione sociale e nella rassegnazione di una vita ai margini. Sono "condannati a consumare senza il diritto di produrre".

In 600 mila dicono esplicitamente di non voler lavorare (tra questi il 73% sono donne) in gran parte per motivi familiari, di inabilità, di scarso interesse o perché non ne hanno bisogno. Il divario con L'Europa è determinato oltre che dai numeri del fenomeno, dal basso livello d'istruzione della popolazione giovanile italiana e dallo scarso livello di occupabilità dei laureati nel nostro paese, in particolare delle donne che hanno minore possibilità di trovare lavoro coerente con il proprio titolo di studio.  La stessa Commissione Europea che un paio di anni fa aveva invitato gli stati membri a considerare come elemento cruciale per lo sviluppo socio economico la promozione dei giovani nella società e nel mondo del lavoro ha dovuto constatare recentemente con il rapporto Eurofound 2012, a cura della sua fondazione, che al paese Italia questo spreco di capitale umano costa 26 miliardi di euro l'anno (1,7 del PIL). "Una bomba ad orologeria che rischia di esploderci in mano.

L'unico ammortizzatore sociale è rappresentato dalla famiglia che, segnata dalla crisi rischia di capitolare; in periodi di crisi economica i più vulnerabili sono sempre i giovani e questo ha effetto sull'andamento futuro dell'occupazione ma determina anche un serio pericolo di esclusione sociale, nei primi mesi dell'anno la disoccupazione giovanile è passata dal 30 al 36% e se questi ragazzi non riescono a reinserirsi velocemente scivoleranno anche loro ad ingrossare le fila dei Neet perché non avendo politiche attive di sussidi e incentivi al lavoro o alla formazione come succede in tutti gli altri paesi, il giovane in Italia è praticamente lasciato solo o alla rete familiare. Basti pensare che tra gli under 30 che trovano lavoro il 50% lo trova grazie ad amicizie della famiglia o personali e solo il 5% grazie ai centri per l'impiego. E questo i ragazzi lo sanno, conoscono l'immobilità sociale del paese e non è un caso che stiano diminuendo anche le immatricolazioni ai  corsi di laurea perché c'è un chiaro elemento di sfiducia verso gli elementi formativi che non assicurano più un lavoro." 

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