lunedì 13 giugno 2011

MARKETING INTERNAZIONALE ED ECONOMIE EMERGENTI


Il marketing sembrerebbe oggi a un punto di svolta.
Almeno così viene riferito da molti eminenti.
Disparati sono oggi gli elementi in gioco nella definizione del business:


 1) l’informazione è sinonimo di forza (chi la detiene detta le regole del gioco);
 2) internet è uno strumento di marketing superiore, non solo un semplice canale di comunicazione;
 3) i paesi maggiormente industrializzati evidenziano una economia in frenata, lasciando spazio a paesi considerati fino a pochi anni fa poveri.

Ergo, tre i driver dell’economia mondiale, che incidono trasversalmente su tutti i mercati, combinandosi e redistribuendosi con modalità diverse in funzione del tipo di business, dei settori, dei paesi.

In questo contesto, sinonimo di un futuro già arrivato, si presenta rischiosa una variabile con cui le aziende sembrano avere alcune difficoltà: il cliente internazionale che non sempre condivide la medesima cultura e lo stesso modus operandi.
Differente anche la percezione di prodotto.

Il problema di oggi non è più insito nella produzione, ma nella ricerca dell'interlocutore, anello finale a cui piazzare il prodotto.
Il cliente, dunque, sempre importante in un processo di marketing, di comunicazione e di promozione...ma oggi sempre più "sfuggente"...

Perché? Cambia il registro linguistico e cambia anche la mentalità.
Parlate tra italiani e vi capirete, con tutti i misunderstanding del caso...parlate con i cinesi...e quel SI che vi sembra ormai promessa, contratto, consolidamento di un affare...dopo due secondi è nulla.
Blocco.

Il caso.
Varie aziende hanno già avviato contatti con Paesi ad economia emergente ma con scarsi risultati: basso controllo della rete distributiva, investimenti elevati in missioni o attività fieristiche che si traducono in ritorni poveri, approcci commerciali sporadici che indeboliscono la percezione del brand.
(E, aprendo una parentesi importante sul brand, la mancanza di attenzione nei confronti di regole diverse da quelle di casa nostra, di legislazioni protettive nei mercati/paese in fase di sviluppo e di criteri semplicistici hanno determinato una perdita di competitività, pertanto il brand di cui le nostre imprese si vantavano tanto - la più importante delle leve di marketing – dimostra di non essere all’altezza).

Perché tutto ciò? Probabilmente perché bisogna entrare in un’altra mentalità e comprenderne le ragioni, seppure irragionevoli. Non è un gioco di parole, ma il Capitalismo dell’Oriente – non si sa come – è ancora  legato indissolubilmente ad un modus vivendi lento, senza frenesia, senza corsa…che rende labili i confini del SI.

E’ il tempo – scattante dell’Occidente – che sorseggia il the in un rito lungo e senza Cronos…è la socializzazione dell’approccio che più conta. Fatti vedere e ordinerò…vieni a cena con me più volte, mangia come me…e farò un ordine…(nel caso dell’export)

Quindi, in realtà, ogni cosa deve essere differente: piazzate un cinese. Uno con gli occhi a mandorla, che lavori sul posto e che diventi amico, socio, braccio destro. Che parli lui, non un interprete di lingua inglese. State a Shanghai per più tempo…imparate la loro lingua e il loro modo di vivere.

La scelta del paese obiettivo deve dipendere ovviamente da una fase di pianificazione strategica e dall’analisi della situazione del mercato globale. Un ritorno al marketing oriented…uscito dalla finestra, rientra dal portone principale.
In questo modo prende forza un nuovo atteggiamento: non più solo vendere ma soprattutto comprendere. Questo atteggiamento si traduce in un vero e proprio investimento nel medio / lungo periodo per massimizzare i risultati di una pianificazione strategica in cui, al marketing, è affidato il ruolo di traino.
La comprensione di un mercato difficile, diverso, lontano (non solo in senso geografico) parte da un mutamento in termini culturali. La composizione / struttura dell’impresa può inibire la capacità ad internazionalizzarsi solo quando la cultura non viene distribuita all’interno dell’impresa stessa. Affrontare questi mercati non è quindi un problema dimensionale ma un problema di atteggiamento nei confronti delle nuove opportunità.
Le PMI dovrebbero proiettarsi verso l’ottenimento di uno status multinazionale, tale per cui la cultura stessa dell’impresa ne riceva beneficio.
“La crescita culturale, orientata al marketing, è l’ancora di salvezza per sopravvivere e giocare un ruolo guida nel prossimo futuro”.
“La creatività e l’innovazione unite al marketing sono il motore per il rilancio dell’impresa italiana”.
E queste sono le tante parole…nei fatti poi le PMI dovrebbero investire davvero in efficienza e qualità dei processi di internazionalizzazione quali penetrazione di mercato, strategie di delocalizzazione, alleanze internazionali, etc.
Insomma un approccio olistico non sempre facile da creare e da consolidare, ma che può dare i suoi frutti…