Il marketing sembrerebbe oggi a un punto di
svolta.
Almeno così viene riferito da molti eminenti.
Disparati sono oggi gli elementi in gioco nella
definizione del business:
1)
l’informazione è sinonimo di forza (chi la detiene detta le regole del gioco);
2)
internet è uno strumento di marketing superiore, non solo un semplice canale di
comunicazione;
3) i paesi
maggiormente industrializzati evidenziano una economia in frenata, lasciando
spazio a paesi considerati fino a pochi anni fa poveri.
Ergo, tre i driver dell’economia mondiale, che
incidono trasversalmente su tutti i mercati, combinandosi e redistribuendosi
con modalità diverse in funzione del tipo di business, dei settori, dei paesi.
In questo contesto, sinonimo di un futuro già
arrivato, si presenta rischiosa una variabile con cui le aziende sembrano avere
alcune difficoltà: il cliente internazionale che non sempre condivide la
medesima cultura e lo stesso modus operandi.
Differente anche la percezione di prodotto.
Il problema di oggi non è più insito nella
produzione, ma nella ricerca dell'interlocutore, anello finale a cui piazzare
il prodotto.
Il cliente, dunque, sempre importante in un
processo di marketing, di comunicazione e di promozione...ma oggi sempre più
"sfuggente"...
Perché? Cambia il registro linguistico e cambia
anche la mentalità.
Parlate tra italiani e vi capirete, con tutti i
misunderstanding del caso...parlate con i cinesi...e quel SI che vi sembra
ormai promessa, contratto, consolidamento di un affare...dopo due secondi è
nulla.
Blocco.
Il caso.
Varie aziende hanno già avviato contatti con Paesi
ad economia emergente ma con scarsi risultati: basso controllo della rete
distributiva, investimenti elevati in missioni o attività fieristiche che si
traducono in ritorni poveri, approcci commerciali sporadici che indeboliscono
la percezione del brand.
(E, aprendo una parentesi importante sul brand, la
mancanza di attenzione nei confronti di regole diverse da quelle di casa nostra,
di legislazioni protettive nei mercati/paese in fase di sviluppo e di criteri semplicistici
hanno determinato una perdita di competitività, pertanto il brand di cui le
nostre imprese si vantavano tanto - la più importante delle leve di marketing –
dimostra di non essere all’altezza).
Perché tutto ciò? Probabilmente perché bisogna
entrare in un’altra mentalità e comprenderne le ragioni, seppure irragionevoli.
Non è un gioco di parole, ma il Capitalismo dell’Oriente – non si sa come – è
ancora legato indissolubilmente ad un
modus vivendi lento, senza frenesia, senza corsa…che rende labili i confini del
SI.
E’ il tempo – scattante dell’Occidente – che
sorseggia il the in un rito lungo e senza Cronos…è la socializzazione
dell’approccio che più conta. Fatti vedere e ordinerò…vieni a cena con me più
volte, mangia come me…e farò un ordine…(nel caso dell’export)
Quindi, in realtà, ogni cosa deve essere
differente: piazzate un cinese. Uno con gli occhi a mandorla, che lavori sul
posto e che diventi amico, socio, braccio destro. Che parli lui, non un
interprete di lingua inglese. State a Shanghai per più tempo…imparate la loro
lingua e il loro modo di vivere.
La scelta del paese obiettivo deve dipendere
ovviamente da una fase di pianificazione strategica e dall’analisi della
situazione del mercato globale. Un ritorno al marketing oriented…uscito dalla
finestra, rientra dal portone principale.
In questo modo prende forza un nuovo
atteggiamento: non più solo vendere ma soprattutto comprendere. Questo
atteggiamento si traduce in un vero e proprio investimento nel medio / lungo
periodo per massimizzare i risultati di una pianificazione strategica in cui,
al marketing, è affidato il ruolo di traino.
La comprensione di un mercato difficile, diverso,
lontano (non solo in senso geografico) parte da un mutamento in termini
culturali. La composizione / struttura dell’impresa può inibire la capacità ad
internazionalizzarsi solo quando la cultura non viene distribuita all’interno
dell’impresa stessa. Affrontare questi mercati non è quindi un problema
dimensionale ma un problema di atteggiamento nei confronti delle nuove
opportunità.
Le PMI dovrebbero proiettarsi verso l’ottenimento
di uno status multinazionale, tale per cui la cultura stessa dell’impresa ne
riceva beneficio.
“La crescita culturale, orientata al marketing, è
l’ancora di salvezza per sopravvivere e giocare un ruolo guida nel prossimo
futuro”.
“La creatività e l’innovazione unite al marketing
sono il motore per il rilancio dell’impresa italiana”.
E queste sono le tante parole…nei fatti poi le
PMI dovrebbero investire davvero in efficienza e qualità dei processi di
internazionalizzazione quali penetrazione di mercato, strategie di
delocalizzazione, alleanze internazionali, etc.
Insomma un approccio olistico non sempre facile
da creare e da consolidare, ma che può dare i suoi frutti…